Senza volermi addentrare in ragionamenti tecnico-giuridici che non mi competono, e limitando queste riflessioni all’ambito sanitario, mi sembra di poter estrapolare alcune impressioni piuttosto nitide da una prima, necessariamente sommaria, lettura della legge 26 giugno 1986, n. 86, recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Il provvedimento, che fa seguito alla ampia discussione sull’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, svoltasi già a partire dalla fine della scorsa legislatura, dopo le iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017, definisce il perimetro giuridico per il conferimento alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori spazi di autonomia richiesti nelle materie previste, attraverso un complesso iter che si risolve in una negoziazione bilaterale tra governo e Regione richiedente.
Questo meccanismo di conferimento/negoziazione è allo stato attuale non efficace, in quanto non sono ancora stati definiti i cosiddetti LEP (livelli essenziali delle prestazioni), ovvero le prestazioni inerenti i diritti civili e sociali da garantire a tuti i cittadini italiani con i relativi costi standard, ovvero le funzioni fondamentali con le risorse necessarie per la loro erogazione.
Quello che però possiamo dire fin da ora è che tutte le funzioni oggetto di autonomia differenziata, dovranno essere necessariamente finanziate mediante un “surplus” di risorse la cui disponibilità sarà in pratica facendo rientrare risorse fiscali nelle regioni queste sono state prodotte, nel momento in cui la negoziazione con lo Stato avrà definito la relativa autonomia funzionale. Questo meccanismo, molto apprezzato soprattutto da chi nel tempo si è nutrito del mito di “Roma ladrona” o “prima il Nord” e via discorrendo, rischia in realtà di generare un quadro di profonda lacerazione del Paese e di ulteriore decadimento del Sistema Sanitario Nazionale.
Vediamone brevemente alcune ragioni. Innanzitutto in sanità i LEP esistono già e consistono nei LEA (Livelli essenziali di assistenza), per cui la sanità è il settore nel quale potrà essere più immediata la applicazione della norma approvata. Il Fondo Sanitario nazionale (FSN), ovvero le risorse che lo stato mette annualmente a disposizione delle regioni, è alimentato dalle risorse fiscali (IRAP, compartecipazione IVA, addizionale regionale IRPEF), le quali sono in seguito redistribuite mediante un complesso percorso (sul quale si tornerà in seguito); un adeguato meccanismo perequativo garantisce le risorse necessarie alle regioni con minore capacità di gettito fiscale.
Senza addentrarci in tecnicismi esasperati, è di solare evidenza che per finanziare alcuni funzioni autonome già richieste da alcune Regioni, ad esempio, le plus-valenze contrattuali per la libera professione “intra-moenia” dei Medici (richieste dal Veneto), o le maggiori remunerazioni dei ricoveri prodotti da strutture accreditate sia pure solo per i pazienti residenti (richieste da Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia), lo Stato dovrà riconoscere a queste Regioni risorse aggiuntive, intaccando il FSN, e, allo scopo di garantire il quadro di stabilità e coesione nazionale previsto dall’articolo 119 della Costituzione (così come previsto dalla stessa legge 86/2024), dovrà riequilibrare quest’ultimo andando a recuperare risorse dal cosiddetto avanzo primario, ovvero dal tesoretto derivante dal saldo tra gettito fiscale e trasferimenti regionali, con la conseguenza di dover intaccare un parametro di importanza vitale per la stabilità finanziaria del Paese, sempre molto esposto sul piano del debito pubblico, la cui responsabilità è da condividere tra tutte le regioni e non può certamente esser scaricata sulle regioni a minore capacità fiscale (1). Occorre a questo punto analizzare la composizione del Fondo Sanitario Nazionale e quali potrebbero essere le conseguenze dell’autonomia differenziata sulla struttura e sulla redistribuzione dello stesso (continua).
(1) Sull’argomento è molto illuminante una simulazione compiuta dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica. Analizzando i dati fiscali 2019, ha calcolato che il gettito prodotto da sette regioni del centro-nord è il 78% dell’intero gettito fiscale nazionale. Queste stesse regioni hanno ricevuto trasferimenti statali inferiori di 37 miliardi di euro rispetto al gettito fiscale da esse prodotto. Questa differenza, che costituisce l’avanzo primario dello Stato, è il tesoretto al quale lo Stato dovrebbe attingere per finanziare il riequilibrio finanziario delle tredici regioni del centro-sud-isole che sarebbero penalizzate in caso di autonomia differenziata pienamente operante, con ripercussioni sulla riduzione del PIL.