Download CV

Andare oltre i piani di rientro sanitari

29 Aprile 2025

Le prossime scadenze elettorali per il rinnovo di alcuni consigli regionali, tra cui quello della Puglia, sono una occasione propizia per interrogarsi su come le politiche sanitarie e socio-sanitarie regionali possono effettivamente incidere sulla salute dei cittadini, tenendo conto del sistema di governance sanitaria vigente nel nostro Paese, con IN Più tutti i limiti che la recente legge sulla autonomia differenziata, sebbene avviata su un binario quasi morto,  rischia di esacerbare ulteriormente.

Ripartirei proprio da quest’ultimo punto, e da una riflessione che ormai rappresenta un patrimonio abbastanza condiviso nel mondo della ricerca manageriale in sanità, ovvero che il sistema di monitoraggio dei bilanci sanitari regionali con i suoi meccanismi correttivi basati su piani di rientro e piani operativi, se da un lato ha prodotto nel tempo una progressiva riduzione del deficit sanitario aggregato delle regioni  e province autonome italiane, dall’altro ha generato ulteriori ritardi e diseguaglianze nella erogazione dei servizi e nell’accesso agli stessi da parte delle popolazioni interessate.   Anzi, laddove le regioni colpite da questi provvedimenti hanno comunque approvato provvedimenti tesi ad assicurare prestazioni non espressamente previste nei LEA, il Governo ha proposto immediato ricorso alla Corte Costituzionale, sulla base del presupposto giuridico che le regioni in piano di rientro non possono impiegare risorse per ampliare la gamma delle prestazioni e servizi quando questi non siano dei LEA.

Emblematiche in tal senso sono le vicende pugliesi degli screenings neonatali, della vaccinazione anti virus sinciziale nei neonati e del ritorno alla gestione pubblica del centro neurolesi di Ceglie Messapica, tutte vicende di estrema importanza per la salute pubblica, in cui si è consumato un durissimo scontro istituzionale tra governo e regione Puglia con successo finale della regione su tutti i fronti aperti, a dimostrazione di come l’orizzonte dei piani di rientro sia molto limitato. Per restare su una tematica più generale, giusto per escludere il fumus del pregiudizio politico dalle iniziative del Governo, basti pensare al durissimo scontro che oppone il governo a tutte le regioni in merito al decreto sulle liste di attesa, rispetto al quale il governo minaccia di adottare poteri sostitutivi nella gestione dei sistemi di monitoraggio dei tempi di attesa.

Orbene, premesso che da tempo è ormai auspicabile un ritorno del primato statale nel monitoraggio dei LEA, occorre ribadire con forza che prima ancora è necessario ridefinire la governance sanitaria basata sul rapporto tra Stato e Regioni. Occorre che in questo rapporto prevalga il senso della sussidiarietà verticale e non della sostituzione dei poteri, se non in casi gravi; occorre che l’equilibrio non sia più influenzato esclusivamente dalla situazione finanziaria regionale con le sue opache appendici dei piani di rientro, perché questi sono diventati ormai strumento di pressione e controllo politico. Basti pensare al caso della Puglia, che è in piano di rientro dal 2008 e, nonostante le belle parole sui tanti importanti progressi compiuti e certificati da tutti gli indicatori (tra tutti le ottime performances del Piano Nazionale Esiti), è di fatto ancora in una situazione di subordinazione al Ministero dell’Economia per l’attuazione delle sue politiche sanitarie. Per questa serie di motivazioni, prima ancora di affrontare tematiche di dettaglio della programmazione sanitaria, è necessario riaffermare la necessità che tutte le regioni, senza distinzioni di orientamento politico, siano capaci di stimolare una revisione legislativa dei piani di rientro, la cui versione vigente è stabilita dalla legge n. 191/2009, mediante una iniziativa parlamentare condivisa tra tutte le forze politiche.

Al centro di questa revisione dovrebbe esserci una distinzione più netta tra la valutazione economico-finanziaria e la fruizione dei servizi da parte della popolazione, eliminando l’automatismo che preclude l’accesso a miglioramenti della qualità assistenziale e ai finanziamenti integrativi in presenza di un piano di rientro. Per raggiungere questo obiettivo, è necessario quindi rivedere l’attuale modello di governance Stato-Regioni, il quale conferisce al ministero dell’Economia un potere quasi assoluto nella gestione dei programmi di riqualificazione dei servizi sanitari regionali con deficit di bilancio, ed esclude quasi completamente il ministero della Salute dalla valutazione delle conseguenze sanitarie sulla popolazione interessata da un piano di rientro.

Obiettivo di questa revisione deve essere anche la loro definizione più sollecita, tenuto conto che il protrarsi di questa condizione senza limiti deve essere ascritta non solo a responsabilità regionali, ma anche ai limiti della previsione statale. Solo allorquando le responsabilità regionali nel mancato raggiungimento dei risultati emergano con chiarezza e gravità, documentate sulla base di un protocollo predefinito approvato per legge, si dovrebbe dare spazio ad un intervento sostitutivo del ministro della Salute in merito alla gestione della sanità regionale.

Questa importante trasformazione, peraltro già evocata in alcuni punti dell’accordo Stato-Regioni 2019-2021 poi evaporato a causa della pandemia Covid-19, appare oggi necessario per riportare il dibattito pubblico sulla materia sanitaria da un piano di mera contrapposizione orizzontale (tra forze politiche) e verticale (tra Stato e Regioni) su un piano di equità e quindi di maggiore coerenza costituzionale, in cui prevalgano gli interessi delle popolazioni a fruire di interventi sanitari utili a promuovere lo stato di salute a tutti i livelli, in una dimensione di sussidiarietà sia verticale che orizzontale, nel quadro della pur difficile tenuta dell’equilibrio economico-finanziario dell’intero sistema.

Posted in Servizio sanitario